Ad Haiti, in viaggio su un carro bestiame

Giulia Giudici, autrice di un capitolo del libro Haiti: l’isola che non c’era, ci ha inviato il racconto di come ci si può sentire ad essere giovani donne bianche alle prese con il trasporto pubblico haitiano.

A/R IN UN CARRO BESTIAME

Lo stupore è una sensazione che per antonomasia nasce spontaneamente. Beh, purtroppo o per fortuna, mi scopro sempre più spesso a sforzarmi di stupirmi! Perché è impensabile che la mia cultura, la mia formazione, la mia disciplina europee, abituate a circostanze e situazione corollate dal rigore del buon senso e del viver comune, possano rimanere indifferenti davanti a scenari che riportano alla memoria, tutt’altro che in rari casi, usanze, senza offese, primitive!

Sicuramente, questa dell’abbandono dei pregiudizi, è una delle tappe prefissate che il cooperante deve superare prima di potersi guadagnare l’appellativo di “cittadino del mondo”. Ma, nel mio caso, non ho mai corso troppo, lungo il mio cammino, e non ho mai bruciato le tappe senza che questo implicasse un grande impiego di energia e fatica! Credo, quindi che il fatto di riuscire a sopportare situazioni a volte estreme, secondo i canoni della società a cui appartengo, sia reso possibile dall’attrazione per l’altro, il diverso…l’esotico, che sempre mi ha affascinato ed accompagnato durante i miei viaggi.

La partecipazione passiva, quella che non interferisce, che passa inosservata pur riuscendo a captare ogni dettaglio è la miglior forma di immedesimarsi nell’assurdità della situazione che stai vivendo. Dimenticarsi del colore della propria pelle e riuscir a identificarsi completamente con una realtà che non è la tua per poterla capire e farla propria, è la missione dell’antropologo più che del cooperante….e mi riesce perfettamente!

Con la stessa naturalezza con cui mi guardo bene dall’afferrare la poco igienica sbarra per sorreggermi durante la tratta QT8-Cadorna in metropolitana a Milano, mi accingo ad affrontare un viaggio, di una quantità di ore imprecisate, in una camionetta che si potrebbe senza esagerare definire un “carro bestiame”.

Al mio arrivo alla stazione dei Tap Tap, così vengono chiamati ad Haiti i mezzi pubblici – e sono pubblici più che nel senso di statali, in quello di alla portata di chiunque! – scavalco a fatica l’agglomerato di mercanzia non ben definita che giace perennemente al suolo così come i suoi venditori, e mi dirigo verso un gran movimento di gente il cui vociare copre senza difficoltà le note incessanti della musica Kompa che escono dalle casse giganti di un ti magazyn. Mentre mi domando come sia possibile che ci si possa permettere di far suonare la musica consecutivamente per ore ed ore in un Paese dove l’irrisolvibile problema di mancanza di elettricità è all’ordine del giorno , vengo accerchiata da un paio di ragazzi:

“Ki kote w prale mon ti blan?”

“Kote O’kap, wi?” rispondo, ignorando il fatto che per l’ennesima volta il colore della mia pelle li abbia attirati a me come mosche al miele.

Immediatamente inizia la loro lotta a chi riesce a vincere la bambolina di porcellana da portare sul proprio Tap Tap: mi strattonano da una parte all’altra come le belve sogliono fare per dividersi i brandelli della preda già morta….ma il mio corpo di essere umano ancora in vita non si può spartire e allora prendo posizione e dico con tono duro: “ Mwen pa yon pupée,non, quite’m, m ka chwazi tap tap la nan tout sèl!”

Rimangono paralizzati quei due o tre secondi, giusto il tempo necessario perché possa liberarmi dalla loro presa e nel frattempo studiare la loro reazione e chiedermi se a rintronarli fossero state le mie parole pronunciate in creolo o il tono duro utilizzato da una donna…o magari entrambi!

Ricevuta la grazia di poter scegliere autonomamente su quale mezzo salire mi trovo a escogitare un piano che mi porti alla scelta ottimale: purtroppo non esiste alcun piano, in quanto non esiste la scelta ottimale!!

Pensandola all’italiana, o all’europea più in generale, verrebbe spontaneo salire sul bus che ha un maggior numero di sedili liberi, beh…pensandola all’haitiana, è consigliabile optare per quello che straborda di passeggeri. Sì, perché in ogni caso l’illusione di esserti conquistato un posto che includa uno spazio vitale di 10 cm2, muore con la speranza di arrivare in tempi accettabili a destinazione!

Infatti, sarebbe saggio comprendere fin dall’inizio che in questo Paese non esiste la concezione del tempo come la intendiamo noi, qui i minuti, le ore e talvolta persino i giorni non sono considerati come unità di misura temporale ma piuttosto in termini di cucchiai di riso. Mi spiego: nell’esempio del caso in questione l’obiettivo da raggiungere non è di certo l’efficacia e l’efficienza di un servizio pubblico pensato unicamente per gli utenti, ma l’ottimizzazione dello spazio, pur sfidando qualsiasi regola della fisica, della meccanica e, senza ombra di dubbio, del buon senso; l’equazione è presto fatta: all’aumentare del numero dei passeggeri aumentano i chicchi di riso della cena dell’autista!

Ed è così che qui, ad Haiti, non esistono orari per il trasporto pubblico, la speranza di arrivare presto a destinazione dipenderà dalla capacità del choffer di raccogliere il maggior numero possibile di passeggeri in un tempo relativamente rapido!

Decido, quindi, per un Tap Tap che sembra apparentemente al completo, mi faccio spazio tra i passeggeri e forse troppo ingenuamente domando: “Kote m ka chita, genyen pa espas?”, mi guardano attoniti come se avessi detto un’assurdità…in mio aiuto accorre il choffer che con una destrezza impressionante fa apparire un posticino a mia misura tra due omoni giganteschi, ed ecco che da un paio di sedili si ottengono facilmente posti per 4 o 5 persone!

Mentre mi accomodo nella miglior posizione che possa garantirmi la minima quantità d’aria che mi permetta di respirare sorge la curiosità di sapere allo scoccare di quale ora di attesa il bus verrà considerato abbastanza carico e quindi in grado di mettersi in marcia…

Forse in Italia, a furia dei quotidiani ritardi che ci regalano i servizi pubblici, ci siamo un po’ ammorbiditi sul tema, ma in molti Paesi d’Europa già al terzo minuto di ritardo si sollevano le prime imprecazioni….ad Haiti le timide lamentele cominciano a giungere alle orecchie del conduttore dopo un paio d’ore…

Nel frattempo continuo ad osservare l’incessante via vai di persone intorno al nostro bus: venditori ambulanti che ti urlano da fuori del finestrino qualsiasi genere di prodotto abbiano all’interno di questi scatoloni che con una facilità disarmante portano caricati in testa; bambini di un età compresa tra i 4 e i 12 anni che elemosinano una manciata di gourd con un’insistenza quasi fastidiosa; i cosidetti pap pa’dap che si aggirano con un telefono a fili immancabilmente di colore rosso offrendo un servizio telefonico a coloro che non si possono permettere un cellulare; poco più in là, invece, un banchetto di legno improvvisato su cui viene posto un generatore mobile di elettricità verrà preso d’assalto da chi ha bisogno di caricare la batteria del proprio telefono portatile.

Non penso, non giudico, non opino,non mi stupisco, mi limito ad osservare.

Intanto l’aria nel bus si fa irrespirabile, dai finestrini entra solo un caldo soffocante ed una quantità allucinante di polvere, terra, fumo e smog. Nella posizione in cui mi trovo mi è del tutto impossibile muovermi,siamo talmente compressi in questo minuscolo spazio vitale che posso inequivocabilmente sentire le goccie di sudore del vicino che cadono sulla mia spalla!

Ma l’incredibile arriverà da lì a poco… esattamente quando una signora mi fa segno di sollevare i piedi, non capisco…che vuole ora questa?? Mi dicono che sotto il nostro sedile c’è ancora spazio per mettere la mercanzia della signora…..(cavolo, oggi è giorno di mercato…questo mezzo non si muoverà di qui finchè non verrà riempito anche il più impensabile angolo…ogni passeggero porta con sé i prodotti acquistati, e non si tratta di una piccola spesa personale, ma di prodotti comprati in stock per poterli poi rivendere il giorno dopo!!!)

Alzo i piedi e lascio che la signora posizioni la sua mercanzia sotto il mio sedile: 4 polli vivi legati con una cordicella all’altezza delle zampe! Davanti a me un ragazzino tiene in mano un sacco di yuta ben chiuso che proprio non ne vuole sapere di star fermo e dal quale si possono ascoltare i miagolii di un paio di gattini; qualche sedile più in là una giovane donna allatta il proprio bebé, al suo lato una non altrettanto giovane donna tiene sulle ginocchia un cucciolo di capra. Ma è solo quando vedo marciare in direzione del bus un uomo con due maiali giganti che inizio a preoccuparmi…non vorrà salire con quelle bestie??? Fortunatamente i due teneri porcellini di una quintalata ciascuno verranno sistemati sul tetto del bus insieme all’altra mercanzia considerata “pesante ed ingombrante”….

Ecco, ora siamo proprio al completo: si può partire e che Dio ce la mandi buona!

Di solito si dice: si sa quando si parte ma non quando si arriva….beh…in questo caso è meglio dire: non si sa quando si parte né SE si arriva!!!

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.